Da sempre, e sempre di più, crediamo a una bugia collettiva e cioè alla favola che essere sexy conferisca potere, valore. Per questo ci affanniamo a somigliare sempre di più a un modello estetico erotizzato, identifichiamo la femminilità con la capacità di ispirare attrazione sessuale e ci impegniamo in un lavoro costante di perfezionamento della nostra immagine.
È una bugia talmente radicata che ormai l’abbiamo fatta coincidere con il concetto di amor proprio: se ti vuoi bene ti curi e cerchi di essere sexy. Quindi metti i tacchi, dimagrisci, fai tutto quel che serve per essere esteticamente attraente.
Eppure il centro di tutto questo non è l’autostima, non è la salute e nemmeno l’emancipazione. Al contrario, è lavorare per ottenere un’immagine finalizzata all’appagamento del desiderio maschile a costo di soffrire, forzare la propria natura, per riuscirci.
Ma come siamo arrivate a questo punto?
Il corpo femminile è presentato come oggetto erotico ovunque e, nel mondo parallelo dei media, sembra essere l’unico modello possibile, lo identifichiamo dunque con il successo.
A furia di vedere bombe sexy al cinema, al telegiornale, sui social network e in televisione abbiamo acquisito questa iper esposizione come normalità e, quando i ricercatori sottopongono agli adolescenti immagini con un altissimo livello di oggettificazione sessuale, la loro risposta è che non rilevano niente di anomalo, le definisono “belle”, “spiritose”.







Se gli esempi più spinti e volgari sono fortunatamente la minoranza, dobbiamo però ricordare che fanno parte di una pressione costante. Chi è cresciuto negli anni ’80 era esposto quotidianamente a circa 500 immagini pubblicitarie, oggi parliamo di una media di circa 5.000, una pervasività fortissima che agisce a livello inconscio nella costruzione di bias cognitivi.
Bias: la tendenza a creare la propria idea di realtà sulla base delle nostre convinzioni, anche se prive di fondamento.
Per esempio, se ci ripetono all’infinito che le donne non sanno guidare acquisiremo questo pensiero come un dato di fatto. E anche se i dati sugli incidenti stradali indicano il contrario, anche se spessissimo quello che critichiamo alla guida è un uomo, faremo caso solo alle volte in cui criticheremo una donna e rafforzeremo così la nostra convinzione.
Analogamente, se veniamo bombardati di immagini che presentano le donne come oggetti sexy, riterremo quella la realtà. E se le donne sono oggetti sessuali ovunque e sembrano esserlo per loro stessa ambizione, allora saranno oggetti sessuali anche le nostre colleghe, amiche, ci aspetteremo dunque che tutte si preoccupino di essere accattivanti in tutto quello che fanno, perché questo è quello che deve fare una “vera” donna e questo significa volersi bene. E chi non segue la linea è in difetto, sbaglia, non si ama.
Questa abitudine è stata poi rafforzata con l’idea che il potere che spetta alla donna sia quello di saper attrarre l’uomo, manipolarlo, convincerlo sbattendo le ciglia e sculettando.
Una convinzione poco lusinghiera per entrambi i sessi: per le donne che non avrebbero altra arma che quella del corpo (e solo per il lasso di tempo in cui il corpo è all’apice della forma) e per gli uomini, che sarebbero delle sorte di idioti, capaci di seguire solo l’istinto genitale.
Perché invece la sessualizzazione non da’ alcun potere?
Quando parliamo di oggetti sessuali dobbiamo ricordare che siamo di fronte a una dicotomia, due concetti in opposizione (sinistra/destra, buoni/cattivi…) e attorno a queste opposizioni si forma e polarizza il nostro pensiero. Nel caso degli oggetti sessuali la dicotomia è oggetto/soggetto: chi agisce e chi è agito.
Per questo anche chi ha ottenuto il più perfetto dei corpi, il migliore degli oggetti sessuali, anche se lo espone per scelta e ne ricava di fatto alcuni vantaggi immediati, è in un rapporto di subordinazione rispetto a chi agisce, perché sta compiacendo il suo desiderio.
La leva del potere la detiene chi determina lo standard, non chi si affanna per aderirvi.
L’obiezione più comune è che il sesso vende, è la natura umana ed è quindi normale che sia così: si tratta di un mercato come un’altro, in cui la migliore ottiene di più.
Ma se questo fosse vero vedremmo sessualizzati anche i corpi maschili, perché la metà dei consumatori al mondo è donna. Il punto è dunque che non è naturale, ma lo abbiamo reso normale.
Il motore è un altro: attraverso la sessualizzazione pubblica e costante del corpo femminile gli uomini recepiscono il messaggio che sono dominanti, che il mondo ruota attorno al loro compiacimento, è il loro gusto a decidere cosa ha valore e cosa no. E questo è potere.
E alle donne viene passato il messaggio che rispondere a quel modello è il modo più immediato di vedersi riconosciuto un valore, perché nella rappresentazione della società non c’è posto migliore, per loro, che essere l’oggetto sessuale ideale. Essere sexy garantirebbe l’accesso ad opportunità che le donne faticano a trovare per altre vie.
Per questo vediamo riviste maschili con donne sexy in copertina e riviste femminili con donne sexy in copertina. Le donne stesse finiscono per aspirare a quell’ideale.
Le conseguenze
Tutte le ricerche sull’argomento condotte da psicologi, centri di ricerca, colossi del marketing indicano che, per questo bombardamento, le donne pagano un prezzo piuttosto alto:
1) depressione e senso di inadeguatezza;
2) disordini alimentari e ansia di controllo sul proprio corpo;
3) scarsa autostima;
4) vergogna per il proprio corpo;
5) riduzione delle performance lavorative: se siamo continuamente preoccupate di apparire adeguate al contesto saremo stremate dalla fatica di controllare ogni dettaglio;
6) timore all’esposizione e dunque scarsa rappresentanza pubblica / politica: le donne che assumono incarichi pubblici subiscono regolarmente una gogna mediatica per il loro aspetto e dunque, di fronte alla possibilità di stare in prima linea, la risposta è spesso: “No grazie, avanti un altro”;
7) body monitoring costante:
In questa posizione si vede la pancia?
Se mi siedo così si nota la cellulite?
Sembro grassa?
Secondo le statistiche lo facciamo ogni 30 secondi e ci controlliamo persino durante l’attività sessuale, facendo spectatoring ovvero concentrandoci di più sulla nostra performance come oggetto sexy che sul nostro stesso piacere.
8) competizione: le donne faticano a essere leali, non perché biologicamente siano nate per farsi la guerra, ma perché, sin dalla nascita, vedono l’approvazione maschile come il riconoscimento del loro valore e dunque competono per ottenerla.
L’erotizzazione costante limita le donne politicamente, economicamente, socialmente e danneggia tutti, perché continua a nutrire quell’idea di virilità e potere maschile che poi porta a conseguenze peggiori: stupro chi non posso avere, insulto chi mi rifiuta, picchio chi non si sottomette, non so gestire l’emotività.
Proviamo quindi a riflettere sulla nostra idea di amor proprio.
Stiamo bene se abbiamo una voce e le nostre opinioni sono ascoltate, se il nostro corpo è in salute e, certo, anche se il nostro aspetto è curato, ma ciò non significa essere oggetti sessualizzati a ogni costo. Certamente non è sbagliato essere sexy, ma con chi intendiamo esserlo e non per forza, non sempre.
Usiamo la tattica degli opposti: gli uomini non si affannano costantemente per essere sessualizzati e questo non impedisce loro di avere una vita piena e felice e nemmeno di essere sexy, di una sensualità non esibita. Perché noi ci sentiamo in dovere di farlo? Perché investire tutte quelle energie nell’esibizione fine a se stessa del nostro corpo?
Smettiamo di consumare prodotti che danneggiano le donne e propongono modelli stressanti: riviste che oggettificano, film che rappresentano le donne come incapaci sciocchine, programmi che ci sviliscono in qualsiasi modo. Sforziamoci di essere leali con le altre donne e smettiamo di controllare il nostro aspetto in modo ossessivo.
Gli uomini poi dovrebbero sforzarsi di essere alleati migliori: informandosi, provando a capire cosa significhino per le donne tutte quelle pressioni sociali, facendosi avanti quando accade qualcosa di sessista, anche se sembra una battuta buffa, anche se a promuoverla è una brava persona.
Possiamo immaginare un modo diverso, in cui le donne non si sentano in dovere di usare mediamente un’ora al giorno per truccarsi, depilarsi, fare lampade, mettere lo smalto e gli uomini non siano animali mossi solo dalle proprie pulsioni genitali. Insomma, un mondo i cui entrambi i sessi sono rappresentati in modo più dignitoso e rispettoso delle individualità e differenze.
Fonti: Caroline Heldman x TED: «The Sexy Lie» Panorama: Le donne attente allo spectatoring