Giulio Perrone Editore si sta distinguendo per la scelta di titoli e talenti scovati tra le giovani autrici contemporanee e femministe. Lo scorso aprile c’è stato il lancio di “Transito”, della scrittrice basca Aixa de la Cruz e, per l’ennesima volta, ci siamo trovate di fronte a una piacevole scoperta.
Il titolo evoca il tema portante di questo libro: il passaggio alla consapevolezza.
Quando si realizza che la propria storia non è solo una sfilza di momenti personali messi in ordine cronologico ma il risultato di un quadro più ampio, collettivo, si cambia. Da quell’epifania si osservano i propri errori, i limiti incontrati, da una nuova prospettiva. Ne emerge un certo senso di colpa per non aver saputo evitare gli sbagli ma soprattutto l’orgoglio di averli compresi.
Transito è la storia di una trentenne che si interroga sulla propria identità e lo fa ripercorrendo ricordi, studi, relazioni e momenti fondamentali della propria storia e di quella di persone a lei vicine.
Parla di sesso e identità sessuale, violenza, dolore affrontato e rifiutato. È la storia di Aixa ma è la voce di tutte le donne.
Fatti privati si intrecciano con la cronaca, l’autrice si mette a nudo con una trasparenza disarmante, ripercorre la propria vita senza il desiderio di uscirne virtuosa, migliore tra gli umani. Le interessa la sincerità, per aiutare chi legge a mettersi sullo stesso piano: esporsi in prima persona, anche negli aspetti più meschini, per arrivare all’essenza.
La protagonista si accorge di essere spezzata a metà: da un lato c’è il cinismo, il distacco sviluppato per sopravvivere all’esperienza feroce dello stare al mondo femminile, fatta di discriminazione, abusi, piccole e grandi violenze. Dall’altro c’è il bisogno di concedersi fragilità senza timore di perdere potere, di prestare il fianco allo stereotipo della donna debole. Riconciliarsi con quel dolore è la strada per trovare il proprio io, empatizzare con le altre donne e muovere i passi verso un cambiamento.
Perché se raccontiamo la violenza subita come qualcosa di occasionale, che ci riguarda singolarmente, ne eliminiamo la dimensione politica.
In Transito si compie proprio il processo opposto: si caricano di dimensione politica le storie private, si supera il pudore di raccontarsi, perché tutte le piccole o grandi violenze che toccano le donne hanno origine sistemica.
Ho cambiato idea, quella storia non è solo mia.
Ed è questa consapevolezza ad avere avviato movimenti collettivi come #metoo o reazioni pubbliche forti come quella relativa allo stupro della Manada.
Transito è al tempo stesso una confessione e un’accusa pubblica, non è chiaro se siamo di fronte a un viaggio intimo dentro l’animo dell’autrice o a una rincorsa che scava dentro la protagonista solo per proiettarsi con maggior slancio nel mondo. Del resto libro è in sé decostruzione di modelli: non è una biografia, non è fiction, non è un saggio eppure è tutte queste cose insieme.
È importante smantellare i modelli ed è quello che fa questo libro su ogni piano: rompe le caselle in cui ci siamo infilate o ci hanno spinto, per inquadrarci in uno spazio più ampio e, soprattutto, più vero.