Harry Potter è inclusivo?

Da qualche tempo J. K. Rowling è al centro di accese discussioni per alcuni tweet controversi e frange di fan si sono scatenate contro la saga di Harry Potter, accusandola di mancanza di inclusività.

In un mondo sempre più attento alle disparità etniche e di genere le opere della Rowling, vengono rilette oggi con una diversa sensibilità. Lo spirito critico è poi acuito dalle forti reazioni che le dichiarazioni dell’autrice hanno scatenato.

La querelle sulla transfobia

La Rowling, che in passato si è definita più volte femminista, ha infatti opinioni nette sul concetto di sesso e identità di genere. Sostiene che il sesso biologico di nascita sia determinante per definire l’identità: è donna solo chi nasce donna ed è uomo solo chi nasce uomo.

Questa visione di fatto esclude le persone transessuali dalla definizione di “donna” e conseguentemente chiede che il femminismo riguardi solo le “femmine”.

Chi è a favore di questa differenziazione sostiene la tesi (come la stessa Rowling ha fatto) che l’esperienza di una persona nata maschio non può essere equiparabile a quella di una nata femmina e che l’attivismo Trans, che lotta per includere nella definizione di “donna” (o di “uomo”) qualsiasi persona che si senta tale, porti con sé una minaccia per le donne, che finirebbero per vedere occupati da maschi spazi faticosamente conquistati. Gli esempi più volte proposti sono quelli delle atlete transessuali, che gareggiano nei campionati femminili.

La Rowling ha scritto più volte sull’argomento, sottolineando che il suo escludere le persone transessuali dal femminismo non significa voler negare loro dei diritti sociali, ma chiedere che tali diritti siano riconosciuti in quanto persone transessuali e non in quanto donne.

Questi tweet non sono certo passati inosservati nella communità LGBTQIA+ che ha accusato la Rowling di transfobia e l’ha fortemente criticata per la sua posizione. Anche gli attori che hanno lavorato alla saga hanno preso le distanze delle dichiarazioni della scrittrice: Daniel Radcliffe (che ha interpretato Harry Potter) ha scritto una lettera in cui esprime solidarietà verso le persone transgender e così ha fatto anche Emma Watson (Hermione).

Nella lettera, Radcliffe sottolinea che negare l’identità delle persone transgender significa lederne la dignità. Transgender e giovani non binari sono oggetto di discriminazione quotidiana e costante ed è importante sostenerli, essere alleati migliori per non causare ulteriori danni.

Chi critica la Rowling infatti sostiene che l’identità di genere non deve essere condizionata dall’identità biologica: la società ha imposto dei ruoli che andrebbero superati, per abbattere tutte le discriminazioni legate al genere e consentire alle persone di aderire, con libertà, alle identità che più sentono conformi.

J.K. Rowling era già stata oggetto di critiche, in passato, per alcuni “rimaneggiamenti” e aggiunte alla propria creazione, che spesso hanno fatto storcere il naso ai fan di lunga data.

In parecchi ricorderanno Hermione, definita a posteriori “non necessariamente bianca”, col tempo si è suggerito che Silente fosse omosessuale e innamorato di Grindelwald, per non parlare di alcuni – supposti, vedremo cosa ci riveleranno i seguiti – stravolgimenti logico/temporali della saga di Animali fantastici.

Harry Potter manca di inclusività! È davvero così?

Sebbene le dichiarazioni della Rowling siano tutt’altro che inclusive, è bene concentrarci solo sulla sua creazione, abbracciando la teoria che vede le opere separate e indipendenti dal loro autore.

Spesso, chi accusa la saga di Harry Potter dimentica il contesto e l’epoca in cui è stata scritta. Parliamo di racconti fantasy scritti negli anni Novanta, quando la sensibilità verso certe tematiche era molto meno sviluppata. La maggior parte dei lettori della saga erano bambini, l’inclusività non era il punto cardine del mondo dell’intrattenimento e la letteratura per ragazzi non faceva eccezione.
C’erano esempi virtuosi, come la serie di romanzi “Il club delle babysitter”, in cui comparivano anche disabilità, omosessualità e multietnicità, ma sempre con personaggi che costituivano l’eccezione.

Eppure Harry Potter è stato molto di più della storia di un gruppo di ragazzini con poteri magici, inglesi, bianchi, eterosessuali e ha portato avanti battaglie importanti contro la discriminazione, anche attraverso l’uso di allegorie.

Nel 2020 forse non basta, è vero. Le minoranze non possono più essere solo sottintese o ignorate. Nel mondo di Potter ci sono (per quel che sappiamo) pochissimi personaggi neri, tutti comprimari, e uno solo asiatico. E all’epoca la centralità dei protagonisti bianchi ed eterosessuali era così comune da non essere nemmeno percepita come escludente.

Per fortuna, lo sguardo collettivo sul mondo sta cambiando e, per questo, è importante continuare a lottare e a richiedere una maggiore inclusività in moltissimi campi. Possiamo però, accanto ad alcune grossolane mancanze dell’epoca, valorizzare le battaglie importanti combattute nelle opere della Rowling.

Tre elementi per cui Harry Potter è stato inclusivo

Hermione Granger. Non potevamo che iniziare con lei, la figura femminile per antonomasia nel mondo di Harry Potter. Giovane, intelligente e conscia di esserlo, ambiziosa, idealista: Hermione è a tutti gli effetti una femminista, una femminista intersezionale, per essere precisi.
È donna, Nata Babbana, ma questo non le impedisce di essere la più brillante del corso di studi. Sa benissimo di avere un cervello di prima qualità e non perde occasione per dimostrarlo, salvando più di una volta la situazione. Inoltre, si batte per i diritti degli elfi domestici con il C.R.E.P.A. (Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e Abbruttiti), è coraggiosa e detesta ogni tipo di discriminazione. Sa cosa vuole diventare e non permette che le origini “non magiche” le siano di ostacolo.

Remus Lupin. Ovvero il professore che tutti vorremmo: coraggioso, interessante, comprensivo, capace di tener testa a una platea di tredicenni con lezioni accattivanti. Ah, sì, poi ci sarebbe il suo piccolo “problema peloso”, come lo chiamava James Potter: Remus è affetto da licantropia. L’ha contratta da bambino, per essere stato morso di un lupo mannaro.
La Rowling stessa ha dichiarato che questa condizione è allegorica per tutte quelle malattie che stigmatizzano, emarginano il malato, che viene disprezzato ed evitato: un chiaro riferimento all’AIDS e all’HIV.
La forza di Remus è tutta qui: la sua malattia non lo definisce. È una disabilità che inizialmente sembra condannarlo, sia moralmente sia economicamente: nessuno lo vuole assumere (a parte Silente) e respinge il matrimonio con Tonks perché teme di condizionarla e costringerla a una vita di miserie, a causa della sua condizione di reietto.

Elfi Domestici (e Nati Babbani, Mezzogiganti, Centauri…). Qualcuno ha detto minoranze?! Dal quinto volume della saga in poi, è evidente che la Rowling ha allegorizzato la relazione tra la figura del tiranno e le fasce svantaggiate e discriminate della popolazione, soprattutto tramite la figura di Dolores Umbridge.
I Nati Babbani e i Sanguemarcio (usiamo la denominazione introdotta da Bartezzaghi nel 2011) sono perseguitati dal regime di Voldemort, perché non ritenuti degni di far parte del mondo magico.
Gli Elfi Domestici sono trattati come schiavi, non sono nemmeno considerati esseri senzienti da alcuni maghi.
Per quanto riguarda Mezzogiganti e Centauri la scarsa considerazione è rappresentata dal termine dispregiativo con cui li appella Dolores Umbridge: ibridi, esseri a metà, indegni di essere considerati dello stesso rango degli esseri umani. Hagrid, inoltre, all’inizio è trattato dalla Umbridge come se avesse una disabilità cognitiva, per metterlo ulteriormente in difficoltà e sottolineare lo stigma che lo caratterizza.

Come dicevamo, probabilmente Harry Potter non è un prodotto perfetto per gli standard del 2020, ma non dobbiamo dimenticare che ogni opera è figlia dei suoi tempi. Ha portato avanti battaglie fondamentali, che non possono essere dimenticate, nonostante tutto.

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