Quello che è accaduto tra Ursula Von Der Leyen e Erdogan è ciò che una lavoratrice media potrebbe chiamare “la riunione di lunedì”. È la normalità per moltissime donne.
E questo va ricordato, non per sminuire la gravità del sofagate ma per risaltare quella di tutti gli altri gate quotidiani, che non hanno fari mediatici puntati sull’accaduto.
Perché la storia del divano non è in fondo così diversa da “Lui è il Dott. Rossi e lei è Ilaria” o dalla imperitura gag dei maschi che fingono di sgomitare per sedersi a fianco della collega carina durante una riunione, come se lo scopo delle donne in un meeting fosse permettere loro di fare conquiste e riuscire a limonare.
Il caso Erdogan ci ricorda che il sessismo è talmente sistemico che nemmeno la Von Der Leyen riesce a salvarsi.
Se il presidente turco ha potuto con disinvoltura somministrare questo schiaffo diplomatico è perché attorno c’è un clima di generica tolleranza, un terreno fertile. E la non risposta di Charles Michel, immobile sulla sua piccola poltroncina, dimostra che il problema non è solo della Turchia.
Il silenzio di Michel è lo stesso di chi ascolta senza ribattere la battuta sul fondo schiena della collega che passa in corridoio, fatta davanti a tutti, come se fosse normale.
Se la gravità di questo sgarro diplomatico vi ha fatto indignare sui social, trasformatela in azione quando quel manager escluderà le donne da una riunione che dovrebbe riguardarle o quando un collega farà la solita battuta allusiva, peraltro vecchia di 100 anni, sulla vostra fortuna a essere capitati in team con la Lucia, mentre a lui è toccato il solito Cerbini. Perché gli Erdogan sono attorno a noi: in moltissime sale riunioni, in numerosissimi uffici e sono pochi quelli che si dimostrano alleati, quando ci sono discriminazioni simili che riguardano altre donne.
E ricordatevene la prossima volta che una donna vi parlerà di sessismo e discriminazione e il vostro istinto sarà alzare gli occhi al cielo e pensare: “Che palle, ma la parità c’è già… cosa volete ancora?“.